Tradizioni di Montescaglioso

Lidia
Tradizioni di Montescaglioso

Tradizioni e riti

Carnevalone, Misteri, i Cucibocca e tanti riti della tradizione montese raccontati per appassionarvi e farvi conoscere ancora più a fondo la nostra cultura e le nostre tradizioni.
Il CARNEVALONE è un rito antico che celebra la vita e la morte e le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Nasce dalla cultura contadina dei massari e fonde il sacro con le tradizioni pagane. Figure tradizionali dell’evento rimandano, infatti, ai simboli arcaici del mondo greco-romano e medievale. II rito vuole simboleggiare la fine dei bagordi e delle feste, impersonificato dalla morte del Carnevalone e dall’entrata nella Quaresima. Tutto ha inizio dal martedì grasso con il rito della vestizione; i partecipanti che prenderanno parte al corteo funebre si travestono utilizzando la tela di canapa di juta ed anche carta, cartoni e sfotte. Il corteo delle maschere sfila già dal mattino e con i campanacci risveglia tutto il paese, per poi passare di casa in casa chiedendo un’offerta per il Carnevalone: pasta, pane, frutta, dolci, vino etc. Dopo aver raccolto un buon bottino, tutto il gruppo pranza insieme per poi ritornare nuovamente in corteo. In serata poco prima della mezzanotte, il corteo riunito in piazza accende il falò nel quale viene bruciato il feretro del Carnevalone ormai morto. Quaranta lugubri rintocchi accompagnano il rito e nel mentre la consorte del Carnevalone darà alla luce il Carnevalicchio a simboleggiare il ciclo della vita e delle stagioni che si alternano. Il giorno dopo, il mercoledì delle ceneri, nei vicoli del paese, già compaiono le 7 figure della “ Quaresima” appese ad una corda per ricordare a tutti i fedeli gli obblighi del buon cristiano per la Pasqua che si avvicina.
13 locals recommend
Montescaglioso
13 locals recommend
Il CARNEVALONE è un rito antico che celebra la vita e la morte e le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Nasce dalla cultura contadina dei massari e fonde il sacro con le tradizioni pagane. Figure tradizionali dell’evento rimandano, infatti, ai simboli arcaici del mondo greco-romano e medievale. II rito vuole simboleggiare la fine dei bagordi e delle feste, impersonificato dalla morte del Carnevalone e dall’entrata nella Quaresima. Tutto ha inizio dal martedì grasso con il rito della vestizione; i partecipanti che prenderanno parte al corteo funebre si travestono utilizzando la tela di canapa di juta ed anche carta, cartoni e sfotte. Il corteo delle maschere sfila già dal mattino e con i campanacci risveglia tutto il paese, per poi passare di casa in casa chiedendo un’offerta per il Carnevalone: pasta, pane, frutta, dolci, vino etc. Dopo aver raccolto un buon bottino, tutto il gruppo pranza insieme per poi ritornare nuovamente in corteo. In serata poco prima della mezzanotte, il corteo riunito in piazza accende il falò nel quale viene bruciato il feretro del Carnevalone ormai morto. Quaranta lugubri rintocchi accompagnano il rito e nel mentre la consorte del Carnevalone darà alla luce il Carnevalicchio a simboleggiare il ciclo della vita e delle stagioni che si alternano. Il giorno dopo, il mercoledì delle ceneri, nei vicoli del paese, già compaiono le 7 figure della “ Quaresima” appese ad una corda per ricordare a tutti i fedeli gli obblighi del buon cristiano per la Pasqua che si avvicina.
Quello che succede ogni Venerdì Santo è un rito antico e mistico, carico di significati e di religiosità, ma che per la sua spettacolarità attrae fedeli e non solo. Il Venerdì Santo è uno dei momenti maggiormente sentito, poiché è in tale giorno che simbolicamente Gesù morirà crocifisso, e i "Misteri" che si celebrano durante questa giornata fanno parte dei riti della Settimana Santa che ha inizio già dalla Domenica delle Palme per concludersi il giorno di Pasqua. Tale culto è figlio della dominazione spagnola sul nostro territorio e segue, quasi fedelmente, il cerimoniale della Semana Santa, arricchito e mescolato ad altri rituali tipici del nostro territorio. La cerimonia del venerdì sera, inizia nelle chiese delle quattro confraternite, dove si cantano i Salmi chiamati "L' chrialist" davanti a tredici candele, le quali vengono spente una per volta durante tale celebrazione. Quando anche l'ultima è spenta, nella chiesa cala il buio e tutti gli astanti iniziano a rumoreggiare per simboleggiare il terremoto che accompagnò la morte del Cristo sul Golgota. Dopo questo momento di raccoglimento, ha inizio la Via Crucis, nella quale vengono portate in processione i Misteri, ovvero le statue che raffigurano gli ultimi istanti della vita di Gesù. La prima statua che apre il corteo è quella della Madonna Addolorata, che, accompagnata e protetta dalla sua confraternita, procederà verso le altre chiese dalle quali vengono prelevate varie altre raffigurazioni del Cristo (legato alla colonna, soccorso dalla Veronica, incoronato Re e poi crocifisso ed infine disteso ormai esanime tra le braccia della Pietà), portate in processione dalle confraternite che le custodiscono. La processione attraversa a passo lento e dondolante le strade della città facendo tappa in tutte le chiese che si trovano lungo il percorso per giungere infine nella Chiesa Madre. Lì il coro intonerà le "Cantilene" che simbolicamente la Madonna, distrutta dal dolore per la perdita del figlio, dedicherà a questi durante la lunga notte di veglia.
13 locals recommend
Montescaglioso
13 locals recommend
Quello che succede ogni Venerdì Santo è un rito antico e mistico, carico di significati e di religiosità, ma che per la sua spettacolarità attrae fedeli e non solo. Il Venerdì Santo è uno dei momenti maggiormente sentito, poiché è in tale giorno che simbolicamente Gesù morirà crocifisso, e i "Misteri" che si celebrano durante questa giornata fanno parte dei riti della Settimana Santa che ha inizio già dalla Domenica delle Palme per concludersi il giorno di Pasqua. Tale culto è figlio della dominazione spagnola sul nostro territorio e segue, quasi fedelmente, il cerimoniale della Semana Santa, arricchito e mescolato ad altri rituali tipici del nostro territorio. La cerimonia del venerdì sera, inizia nelle chiese delle quattro confraternite, dove si cantano i Salmi chiamati "L' chrialist" davanti a tredici candele, le quali vengono spente una per volta durante tale celebrazione. Quando anche l'ultima è spenta, nella chiesa cala il buio e tutti gli astanti iniziano a rumoreggiare per simboleggiare il terremoto che accompagnò la morte del Cristo sul Golgota. Dopo questo momento di raccoglimento, ha inizio la Via Crucis, nella quale vengono portate in processione i Misteri, ovvero le statue che raffigurano gli ultimi istanti della vita di Gesù. La prima statua che apre il corteo è quella della Madonna Addolorata, che, accompagnata e protetta dalla sua confraternita, procederà verso le altre chiese dalle quali vengono prelevate varie altre raffigurazioni del Cristo (legato alla colonna, soccorso dalla Veronica, incoronato Re e poi crocifisso ed infine disteso ormai esanime tra le braccia della Pietà), portate in processione dalle confraternite che le custodiscono. La processione attraversa a passo lento e dondolante le strade della città facendo tappa in tutte le chiese che si trovano lungo il percorso per giungere infine nella Chiesa Madre. Lì il coro intonerà le "Cantilene" che simbolicamente la Madonna, distrutta dal dolore per la perdita del figlio, dedicherà a questi durante la lunga notte di veglia.
I Cucibocca sono misteriose figure vestite di un lungo mantello scuro, con un grande cappello di canapa, il viso coperto da una folta barba bianca, lunghi capelli e bucce di arancia a mo’ di occhiali. Si muovono nella notte in gruppi di tre, trascinando catene spezzate e sorreggendo nelle mani un canestro di vimini, una lanterna e un lungo ago. Aggirandosi tra le strade di Montescaglioso, nella notte della Befana, intimano il silenzio minacciando, soprattutto i bambini, di cucire loro la bocca con i lunghi aghi. Non si conoscono bene le origini di questa lunga tradizione, ove elementi cristiani e mitologici si fondono tra loro. Di sicuro, la figura del Cucibocca è collegata ad Arpocrate, il dio egizio del silenzio, figlio di Iside e Osiride (Horus), rappresentato nell’Abbazia di San Michele Arcangelo a Montescaglioso. L’affresco raffigura Arpocrate con una lunga barba bianca nell’atto di portarsi il dito alla bocca e invitare al silenzio. Intorno all’affresco una scritta recita: <<Silentium sit vobis charum ut vivet non sit amarum>> (Il silenzio vi sia caro affinché il vivere non sia amaro). E così come Arpocrate anche i Cucibocca invitano al silenzio; silenzio inteso come ammonimento: Arpocrate, nella cultura dell’antico Egitto, in quanto figlio di Iside detentrice delle conoscenze segrete e dei poteri magici, ammonisce, dunque, gli iniziati ai sacri Misteri di non divulgare i segreti legati ai riti iniziatici e di mantenere discrezione sulle cose sacre. Al tempo stesso, però, il silenzio diviene una delle vie che portano alla conoscenza, fondata sulla concentrazione del pensiero e sull’interiorizzazione della parola, unico strumento per comprendere la divinità e raggiungere così la felicità. Secondo questa interpretazione, dunque, i Cucibocca intimano il silenzio come ammonimento a conservare i segreti della conoscenza e si rivolgono soprattutto ai bambini, coloro i quali rappresentano la nuova generazione e il futuro. Secondo un’interpretazione cristiana, invece, il silenzio che i Cucibocca intimano aizzando i lunghi aghi, rappresenta l’inizio di un periodo di digiuno che chiude i festeggiamenti e gli eccessi del periodo natalizio e prepara il corpo e lo spirito al periodo di Quaresima. E sempre di natura cristiana è la credenza che vuole che la notte del 5 gennaio le anime dei defunti tornino dal Purgatorio per far visita ai loro cari e raccogliere in un canestro di vimini cibi e bevande, probabilmente i famosi “9 bocconi” che i Cucibocca raccolgono nei loro cestini durante la processione notturna nella notte della Befana. Da anni ormai, tra sacro e profano, la notte dei Cucibocca attira turisti e visitatori per le vie di Montescaglioso, incantati da queste figure che si aggirano al calar della notte con i mantelli scuri e i lunghi aghi a minacciare i bambini; e i piccoli, incuriositi e al tempo stesso impauriti, corrono presto a nanna per trovare al risveglio i dolci doni della Befana.
13 locals recommend
Montescaglioso
13 locals recommend
I Cucibocca sono misteriose figure vestite di un lungo mantello scuro, con un grande cappello di canapa, il viso coperto da una folta barba bianca, lunghi capelli e bucce di arancia a mo’ di occhiali. Si muovono nella notte in gruppi di tre, trascinando catene spezzate e sorreggendo nelle mani un canestro di vimini, una lanterna e un lungo ago. Aggirandosi tra le strade di Montescaglioso, nella notte della Befana, intimano il silenzio minacciando, soprattutto i bambini, di cucire loro la bocca con i lunghi aghi. Non si conoscono bene le origini di questa lunga tradizione, ove elementi cristiani e mitologici si fondono tra loro. Di sicuro, la figura del Cucibocca è collegata ad Arpocrate, il dio egizio del silenzio, figlio di Iside e Osiride (Horus), rappresentato nell’Abbazia di San Michele Arcangelo a Montescaglioso. L’affresco raffigura Arpocrate con una lunga barba bianca nell’atto di portarsi il dito alla bocca e invitare al silenzio. Intorno all’affresco una scritta recita: <<Silentium sit vobis charum ut vivet non sit amarum>> (Il silenzio vi sia caro affinché il vivere non sia amaro). E così come Arpocrate anche i Cucibocca invitano al silenzio; silenzio inteso come ammonimento: Arpocrate, nella cultura dell’antico Egitto, in quanto figlio di Iside detentrice delle conoscenze segrete e dei poteri magici, ammonisce, dunque, gli iniziati ai sacri Misteri di non divulgare i segreti legati ai riti iniziatici e di mantenere discrezione sulle cose sacre. Al tempo stesso, però, il silenzio diviene una delle vie che portano alla conoscenza, fondata sulla concentrazione del pensiero e sull’interiorizzazione della parola, unico strumento per comprendere la divinità e raggiungere così la felicità. Secondo questa interpretazione, dunque, i Cucibocca intimano il silenzio come ammonimento a conservare i segreti della conoscenza e si rivolgono soprattutto ai bambini, coloro i quali rappresentano la nuova generazione e il futuro. Secondo un’interpretazione cristiana, invece, il silenzio che i Cucibocca intimano aizzando i lunghi aghi, rappresenta l’inizio di un periodo di digiuno che chiude i festeggiamenti e gli eccessi del periodo natalizio e prepara il corpo e lo spirito al periodo di Quaresima. E sempre di natura cristiana è la credenza che vuole che la notte del 5 gennaio le anime dei defunti tornino dal Purgatorio per far visita ai loro cari e raccogliere in un canestro di vimini cibi e bevande, probabilmente i famosi “9 bocconi” che i Cucibocca raccolgono nei loro cestini durante la processione notturna nella notte della Befana. Da anni ormai, tra sacro e profano, la notte dei Cucibocca attira turisti e visitatori per le vie di Montescaglioso, incantati da queste figure che si aggirano al calar della notte con i mantelli scuri e i lunghi aghi a minacciare i bambini; e i piccoli, incuriositi e al tempo stesso impauriti, corrono presto a nanna per trovare al risveglio i dolci doni della Befana.
Nei giorni che precedono la Pasqua, se passeggiate per il centro storico di Montescaglioso, vi capiterà di imbattervi in 8 strane pupe appese ad un filo da un balcone all’altro del Corso. Loro sono le nostre Quaremme. Le pupe, tutte vestite di nero, tranne una, compaiono dal mercoledì delle ceneri e rimangono penzoloni fino al giorno della Resurrezione. Queste bambole sono la personificazione femminile delle settimane che ci separano dalla Pasqua, ovvero la più piccola di loro e l’unica vestita di bianco. Ognuna di loro ha un nome: Anna, Susanna, Rebecca, Rebanna, Palma, Pasqua, Pasqueredda, Pasquairanna e sono le 8 figlie del Carnevalone, rimaste orfane di padre, poichè questi è morto il martedì grasso. Sul filo che le regge vengono inoltre appesi simboli della tradizione e della vita quotidiana come il fuso, il tagliere su cui viene fatta la pasta in casa, la pentola dove vengono scaldate il carbone per stare al caldo etc. Le donne vivono ora in povertà e dovranno condurre una vita semplice e umile fatta di sacrificio come si addice al cristiano che vive i quaranta giorni della Quaresima. Anticamente le nostre pigotte erano fatte di paglia, mentre oggi sono tutte di stoffa ed imbottite, vestite di nero con il fazzoletto, nero anch’esso, che raccoglieva e copriva il capo e i capelli delle donne per rispettare il lutto della morte del padre. Il loro significato è antico e va ricercato nella tradizione greco- romana delle Parche, tessitrici della vita le quali presiedono al destino degli uomini. Come le Parche, le Quaremme scandiscono il tempo e l’attesa del fedele e rappresentano il filo del tempo, quello inesorabile e ciclico della morte e rinascita che successivamente la cultura cristiana ha fatto coincidere con la morte del Carnevalone e l’arrivo della Santa Pasqua. Le bambole hanno perciò, il doppio ruolo di memoria del ciclo della vita che si ripete, ma anche di monito al buon cristiano a rispettare gli obblighi della Quaresima e di vivere in semplicità e sacrificio nei giorni che precedono la Resurrezione. Un rituale antico che in molti comuni della Basilicata viene ancora oggi onorato e preservato dal tempo, poiché parte di un patrimonio importante e di un costante esempio di come, nella nostra terra, la fusione e il legame tra sacro e profano, siano intimamente e indissolubilmente legati a doppio filo. Nel 1948 un grande poeta lucano quale Leonardo Sinisgalli, le descriveva così: “ vedova pazza era la pupa col vecchio grembiule volteggiava al turbine di febbraio, penzoloni da una fune sulla strada, bersaglio di terribili fanciulli.”
13 locals recommend
Montescaglioso
13 locals recommend
Nei giorni che precedono la Pasqua, se passeggiate per il centro storico di Montescaglioso, vi capiterà di imbattervi in 8 strane pupe appese ad un filo da un balcone all’altro del Corso. Loro sono le nostre Quaremme. Le pupe, tutte vestite di nero, tranne una, compaiono dal mercoledì delle ceneri e rimangono penzoloni fino al giorno della Resurrezione. Queste bambole sono la personificazione femminile delle settimane che ci separano dalla Pasqua, ovvero la più piccola di loro e l’unica vestita di bianco. Ognuna di loro ha un nome: Anna, Susanna, Rebecca, Rebanna, Palma, Pasqua, Pasqueredda, Pasquairanna e sono le 8 figlie del Carnevalone, rimaste orfane di padre, poichè questi è morto il martedì grasso. Sul filo che le regge vengono inoltre appesi simboli della tradizione e della vita quotidiana come il fuso, il tagliere su cui viene fatta la pasta in casa, la pentola dove vengono scaldate il carbone per stare al caldo etc. Le donne vivono ora in povertà e dovranno condurre una vita semplice e umile fatta di sacrificio come si addice al cristiano che vive i quaranta giorni della Quaresima. Anticamente le nostre pigotte erano fatte di paglia, mentre oggi sono tutte di stoffa ed imbottite, vestite di nero con il fazzoletto, nero anch’esso, che raccoglieva e copriva il capo e i capelli delle donne per rispettare il lutto della morte del padre. Il loro significato è antico e va ricercato nella tradizione greco- romana delle Parche, tessitrici della vita le quali presiedono al destino degli uomini. Come le Parche, le Quaremme scandiscono il tempo e l’attesa del fedele e rappresentano il filo del tempo, quello inesorabile e ciclico della morte e rinascita che successivamente la cultura cristiana ha fatto coincidere con la morte del Carnevalone e l’arrivo della Santa Pasqua. Le bambole hanno perciò, il doppio ruolo di memoria del ciclo della vita che si ripete, ma anche di monito al buon cristiano a rispettare gli obblighi della Quaresima e di vivere in semplicità e sacrificio nei giorni che precedono la Resurrezione. Un rituale antico che in molti comuni della Basilicata viene ancora oggi onorato e preservato dal tempo, poiché parte di un patrimonio importante e di un costante esempio di come, nella nostra terra, la fusione e il legame tra sacro e profano, siano intimamente e indissolubilmente legati a doppio filo. Nel 1948 un grande poeta lucano quale Leonardo Sinisgalli, le descriveva così: “ vedova pazza era la pupa col vecchio grembiule volteggiava al turbine di febbraio, penzoloni da una fune sulla strada, bersaglio di terribili fanciulli.”